Uno dei ricordi più vivi che mi è rimasto del servizio militare (obbligatorio) è il percorso di guerra: uno doveva arrampicarsi su un muro, camminare in equilibrio su una scaletta sopra una fossa, strisciare sotto il filo spinato, saltare oltre un corso d'acqua, camminare nel fango, scavalcare una siepe ecc. : e tutto nel minor tempo possibile.
Io non l'ho mai fatto, perché era riservato ai militari di carriera, e ci si poteva far male. Ma l'immagine del percorso di guerra mi è rimasta impressa, ed è diventata per me una specie di metafora della nostra vita di ogni giorno: devi andare a prendere il bambino a scuola mentre all'altro sta venendo la varicella, affrontare la moglie (o il marito) che per motivi suoi ha un diavolo per capello, fare i conti con il mal di schiena, ricordarti di pagare la bolletta (è già scaduta da qualche giorno). O anche: rimani bloccato nel traffico ed è più facile trovare la coppa del Graal che un posteggio, sei rimasto indietro nel rispondere alla posta elettronica, hai avuto uno scambio poco piacevole con un collega, hai lasciato i panni ad asciugare e adesso si mette a piovere, si è rotta la lavastoviglie, devi arrampicarti sugli specchi per affrontare spese a non finire: e tutto quanto assieme, o in varie combinazioni. Insomma le solite spaventose vicissitudini di una vita normale. Secondo una ricerca americana, ci imbattiamo in media in 23 frustrazioni al giorno. Non so come hanno fatto a scoprirlo, ma direi che la cifra è ragionevole.
Ci sono due importanti differenze, però, fra il percorso di guerra e il cammino quotidiano: nel primo più o meno sai che cosa ti troverai difronte, mentre nel secondo gli inconvenienti sono spesso a sorpresa. Inoltre la vera sfida nella nostra vita di ogni giorno non sta solo nel superare gli ostacoli, ma nel superarli bene: senza compromettere la salute o guastare un rapporto, senza perdere il lavoro o cadere in depressione; ma anzi, rimanendo sani e centrati, sorridendo a chi incontriamo, e magari ricordando che la vita è bella.
Non è poco. Non tutti ci riusciamo. Per fortuna, ci sono degli aiuti. Possiamo imparare a vivere meglio, e per questo esistono vari ausili, offerti dalla saggezza tradizionale e, in questi ultimi decenni, anche dalla psicologia. Uno di questi ausili è costituito dalle qualità o virtù: per aiutarci e illuminare la nostra strada ci vengono in aiuto la gioia o l'armonia, il calore o la pazienza, la forza o la pace – o molte altre ancora. A volte basta già solo pensare a una di queste qualità, e la situazione già migliora. Per esempio, sto rischiando di perdere il treno, e penso che, anziché essere inutilmente ansioso, posso fronteggiare la situazione con equanimità – e già mi sento meglio, se sono capace di concepire l'equanimità in maniera chiara e vivida.
Le qualità o virtù sono un concetto antico, che fa parte di varie tradizioni spirituali. Nella tradizione cristiana, per esempio, si parla di virtù teologali – quelle che più ci avvicinano a Dio: fede, speranza e carità; mentre le virtù cardinali: ………. sono il cardine attorno a cui devono ruotare le nostre azioni. Nella tradizione buddhista ci sono le parami: le perfezioni, anch'esse qualità come pazienza, veridicità o gentilezza. Le virtù o perfezioni o qualità sono un importantissimo aiuto alla vita spirituale, perché lo Spirito è ineffabile, e quindi inconcepibile nell'ambito delle nostre strutture mentali. Abbiamo bisogno di qualche appiglio, di qualche intermediario concettuale che ci aiuti a tradurre la realtà inafferrabile dello Spirito in termini più ancorati alla realtà umana.
Spesso le virtù hanno una valenza didattica vera e propria. Sono come un segnavia che ci aiuta a fare il prossimo passo nella nostra vita interiore. Nei tempi antichi non era raro che fossero adottate come immagini e personificazioni. Un bell'esempio sono quelle dipinte da Giotto nella Cappella degli Scrovegni.
Se voi andate a Padova e volete visitare questo capolavoro, dopo aver pagato il biglietto aspetterete un quarto d'ora in una saletta apposita perché le polveri che involontariamente portate dall'esterno si depositino e la vostra temperatura corporea si uniformi a quella dell'ambiente che state per visitare, che è molto, molto delicato. Anche se non è stato concepito per questo, il quarto d'ora di attesa è anche un utile cuscinetto da interporre fra il frastuono e il disordine del mondo esterno, e l'interiorità sacra di questo luogo. Poi avrete un quarto d'ora di tempo per visitare gli splendidi affreschi di Giotto, che rappresentano episodi del Vecchio e Nuovo Testamento. A un certo punto, dopo aver guardato in alto ed esservi riempiti di questa bellezza, vi accorgerete magari che più o meno ad altezza d'occhio sono raffigurate da una parte le virtù e dall'altra i vizi. Bisogna, naturalmente, evitare i vizi e coltivare le virtù. Per esempio, bisogna guardarsi dal vizio dell'incostanza, rappresentata da una donna seduta in precario equilibrio su una ruota che rotola all'indietro giù per un pendìo. L'immagine ci fa subito capire lo stato d'animo di chi è incostante, l'angoscia continua del vivere senza stabilità e certezze. Sulla parete opposta ci sono le virtù: per esempio, la carità rappresentata come una donna che con una mano riceve dal cielo un dono e con l'altra offre un piatto pieno di frutta e frumento: la generosità ispirata.
Una volta queste immagini erano le uniche o quasi che il popolo vedeva. Il loro scopo era di ispirare. Nel caso della cappella giottesca, era una vera e propria guida verso il Paradiso. Oggigiorno, vediamo queste stesse immagini in condizioni museali per un quarto d'ora, ma siamo poi invasi da milioni di altre immagini – di violenza, di sesso, di orrori, di merci stuzzicanti, di promesse meravigliose, di viaggi in terre lontane. E le virtù dove sono andate a finire?
Ora le virtù sono studiate dagli psicologi. I primi che parlano delle virtù sono i poeti e i santi. Poi i filosofi. Poi, molto tempo dopo, i pubblicitari. Infine gli psicologi. E se ne occupano da un punto di vista secolare e più ben più prosaico. Non è per dire male degli psicologi: forse va bene che sia così. Fatto sta che la psicologia si è interessata dapprima solo di ansia, angoscia, ossessione, coazione a ripetere, fantasie di morte, fobie, attacchi di panico, deliri, perversioni sessuali, e via dicendo. Solo in seguito si è occupata di emozioni positive. Fra i primi a farlo è stato uno psichiatra italiano, Roberto Assagioli, con cui ebbi la fortuna di studiare e collaborare. Assagioli, che per primo aveva portato la psicanalisi in Italia agli inizi del secolo scorso, se ne staccò per la sua eccessiva accentuazione della patologia, e fondò la sua psicosintesi, con un accento sulle potenzialità creative dell'essere umano.
Una delle idee guida di Assagioli era quella di includere la spiritualità nella psicologia come un suo legittimo campo di ricerca e di lavoro. Al contrario di Freud, che vedeva le esperienze spirituali come un derivato secondario di altri livelli della psiche, Assagioli accordava loro uno status indipendente. All'inizio fu osteggiato. Nel 1938 il regime fascista lo fece arrestare perché conduceva un gruppo di meditazione sulla pace. In seguito Assagioli fu semplicemente ignorato. Il suo lavoro fu riconosciuto internazionalmente solo molto anni più tardi, negli anni settanta, con il fiorire della psicologia umanistica e transpersonale di A.H. Maslow e un accresciuto interesse per gli aspetti più positivi e creativi dell'animo umano. In seguito ancora, dagli anni novanta in poi, c'è stato un susseguirsi di ricerche scientifiche le quali dimostrano che le varie qualità possono dare tangibili benefici al corpo e alla psiche: per esempio, il buonumore porta benessere, la gentilezza rafforza le difese immunitarie, la fiducia rende longevi, la gratitudine aumenta l'efficienza, e l'ottimismo addirittura migliora le prestazioni sportive e aiuta a fare carriera in politica.
Questi studi sono interessanti e necessari, ma in fondo confermano ciò che sapevamo istintivamente già prima: le qualità ci fanno star bene e migliorano la nostra vita e i nostri rapporti con gli altri. E, anche senza questi benefici collaterali, sono un fine in se stesse, cioè hanno un valore indipendentemente dai benefici psicofisici che possono dare.
Questo libro è organizzato secondo uno schema di dieci qualità o virtù: quelle che più ci possono aiutare ad affrontare le v arie prove della vita quotidiana con chiarezza e serenità. Nel caos della vita di ogni giorno, nella fretta, fra mille frustrazioni e distrazioni, davanti a mille piccoli e grandi ostacoli, c'è il bisogno di mantenere l'equilibrio e magari avere un buon influsso sugli altri – non nel senso di ergerci a maestri, ma perché di noi stessi vale la pena offrire il meglio.
L'anima è "naturaliter christiana" diceva Tertulliano. L'anima, cioè, già contiene, per lo meno in potenza, le virtù di cui prima abbiamo parlato: non sono corpi estranei, ma invece disposizioni che più ci possono aiutare ad esprimere ciò che già siamo. Non si tratta, insomma, di generare atteggiamenti artificiosi e imporci sforzi innaturali, ma di ritrovare noi stessi, il nostro nucleo dimenticato di saggezza e bontà. Questa è anche la conclusione a cui è arrivata la psicologia umanistica e transpersonale, e in seguito la psicologia positiva. Le qualità positive non sono aggiunte artificiali, ma un nostro tratto che già abbiamo o possiamo sviluppare.
C'è un'enorme differenza con l'immagine dell'uomo coltivata alla fine dell'ottocento in poi e nel secolo scorso: un essere in competizione perpetua con tutti gli altri – prepotente, aggressivo, meschino, egoista. Insomma in lotta per la sua sopravvivenza. In questa visione, la cultura non è altro che un sottilissimo strato di regole estranee alla nostra vera natura, che ci imponiamo per motivi di comodo: ma sotto questo strato siamo selvaggi ed egoisti. In seguito, la scienza ha modificato questa immagine unilaterale ed esagerata dell'essere umano. Si sta scoprendo che sono proprio alcune virtù, per esempio la capacità di collaborare, la cura degli altri, l'empatia, che hanno reso l'uomo capace di sopravvivere ed evolvere. Chi non aveva queste capacità si è estinto.
Qui si parla di galateo spirituale. Il galateo viene chiamato comunemente anche "saper vivere". E questa denominazione è molto interessante. Se c'è un saper vivere, c'è anche un non saper vivere: cioè non saper convivere con le proprie emozioni e non saper leggere quelle degli altri, non saper come fare per affrontare il nostro stress quotidiano. E anche non saper capire e tollerare la sofferenza, non saper gustare la vita e non riuscire a rimanere centrati nei momenti difficili. Dunque bisogna imparare a vivere. E si può imparare a vivere bene.
Gli americani dicono che Dio è nei dettagli (ma forse il primo a dirlo è stato Flaubert). Immagino che vogliano dire che i grandi proclami e i princìpi eterni sono sì importanti, ma poi bisogna vedere come ce la caviamo nella vita di tutti i giorni. E' nella vita quotidiana che si rivela una persona: come guida l'auto, come tratta il marito (o la moglie), come reagisce a una frustrazione, , come usa il denaro, come si veste, qual è il suo tono di voce, come tratta gli oggetti, come ricicla l'immondizia. E' qui che casca l'asino.
Per esempio, tempo fa ero in anticipo a un appuntamento. Mi sono seduto su una panchina nei giardinetti. Vicino a me c'erano due uomini, tutti e due nonni che guardavano i loro nipotini giocare. Parlavano fra loro: "I bambini sono poesia" "I bambini sono una meraviglia" "I bambini sono un dono di Dio". Fra l'uno e l'altro cantavano un inno di lode ai bambini. A un certo punto uno deve andare. Chiama la nipotina in malo modo, e va via strattonandola. L'altro si comporta in modo simile. Ma dov'erano andati tutti quei bei concetti espressi poco prima? Secondo me i due uomini erano sinceri, ma non avevano ancorato le loro convinzioni alla loro vita di ogni giorno. Non incarnavano ciò in cui credevano. Persone che proclamano nobili principi e luminose visioni si tradiscono poi alla prima occasione. E' qui che ci vorrebbe un po' più di galateo dell'anima.
Mi viene da dire: sarebbe già abbastanza se si imparasse il galateo normale. Pensate che sollievo: la gente non alza la voce, a tavola aspetta che tutti abbiano il cibo davanti prima di incominciare a mangiare, è puntuale agli appuntamenti, dice il proprio nome per prima quando telefona invece di assalire l'altro con un perentorio "chi parla?", non occupa due posti in treno quando ci sono viaggiatori in piedi, sta in coda come senza cercare di fregare gli altri, e via dicendo.
Il galateo tradizionale è un'espressione di moralità e di rispetto per gli altri. Se ci facciamo caso, ha radici e significati sorprendentemente profondi. Nell'Era della Maleducazione non andrebbe male coltivare un po' di buone maniere. Ma si tratta pur sempre di regole formali imposte dall'esterno. Ancora più urgente è assimilare il galateo dell'anima – cioè imparare l'arte di vivere in armonia con noi stessi e con gli altri. Se davvero potessimo assimilarla, le difficoltà e le insidie si trasformerebbero in occasioni per rafforzarci. Ci sarebbero molti meno sbagli, meno fatica, meno arrabbiature.
Non mi è permesso dire che questo è un bel libro, perché sarebbe un conflitto di interessi: l'autrice è mia moglie. Però mi sento sicuro nell'affermare che il soggetto è di enorme importanza. Perché se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo incominciare dalle piccole cose. Nella vita reale siamo sempre agli esami di scuola elementare, anche quando andiamo all'Università.
Per cavarcela, possiamo lasciarci guidare dalla luce bellissima delle qualità spirituali. Il percorso di guerra quotidiano diventa allora un cammino graduale verso l'amore e la saggezza.
Vivien Reid - Saper vivere: il galateo dell'anima
Introduzione al libro. Milano: San Paolo, 2010