Nei recenti sviluppi delle neuroscienze è possibile riscontrare una conferma indiretta alle intuizioni di Roberto Assagioli e ai principi e metodi fondamentali della psicosintesi. Si può ragionevolmente sostenere che la psicosintesi è la scuola di psicologia fra le più idonee a essere veicolo dei nuovi orientamenti nelle neuroscienze. Un approfondimento di questi argomenti può aiutare a capire meglio la psicosintesi e dare un ancoraggio fisico alle esperienze interiori.
In particolar modo sono qui affrontati i seguenti temi: l'empatia come immediata e primaria risonanza con l'altro; la plasticità cerebrale, parallela all'"inconscio plastico" indicato da Assagioli come la sede della plasmabilità psichica; la possibilità di disidentificarsi come modificazione volontaria dell'attività cerebrale; la costruzione soggettiva della realtà, che riporta al singolo individuo la responsabilità per la propria qualità di vita; la volontà come funzione esecutiva del cervello; l'efficacia della visualizzazione; la profonda importanza terapeutica di lettura e scrittura; le esperienze transpersonali viste nel loro aspetto di evento neurologico specifico; la meditazione come alterazione benefica dell'attività cerebrale; i correlati neurali dell'esperienza estetica, dell'umorismo, e del gioco.
Parole chiave: psicosintesi, brain imaging, empatia, disidentificazione, volontà, visualizzazione, neuroscienze, transpersonale, meditazione, bellezza, gioco, umorismo.
Lo sviluppo recente della ricerca nel campo delle neuroscienze ha messo in luce un fatto nuovo e paradossale: i principi enunciati negli ultimi cento anni da Roberto Assagioli e dai suoi allievi trovano ora un riscontro preciso nei dati e nei modelli delle neuroscienze. Il paradosso è che la psicosintesi, che per definizione è centrata sull'unicità dell'individuo, si è sempre basata sull'evidenza soggettiva: la narrativa delle sedute individuali e di gruppo, i risultati di varie tecniche ed esercizi. Ora, a posteriori, arriva una conferma sperimentale dei principali assunti psicosintetici.
Questo nuovo sviluppo fa parte di una tendenza più vasta: mentre prima la pratica della psicoterapia e la ricerca nel campo della neurofisiologia erano in gran parte estranee, ora fra i due mondi c'è comunicazione e convergenza. Ciò ha avuto come conseguenza rivoluzionamenti prima impensabili, e bruschi cambiamenti di prospettiva, che hanno radicalmente modificato e ampliato l'immagine dell'essere umano offerta dalla ricerca scientifica. Questo progresso è dovuto in gran parte all'evolversi delle tecniche di indagine sul cervello, prima fra tutte il brain imaging, che permette di osservare l'attività cerebrale in tempo reale, operando così una correlazione fra stati soggettivi e realtà fisiologica.
In particolar modo molti studi nel campo delle neuroscienze ci mostrano (anche senza chiamarla così) una psicosintesi in azione in tutte le sue caratteristiche principali. Studiare le neuroscienze in questo contesto è come imparare di nuovo la psicosintesi da una prospettiva diversa e più concreta. In questo scritto, lungi da una trattazione esaustiva di questi argomenti, che richiederebbe uno spazio ben più grande, metterò in luce alcuni temi fondamentali che psicosintesi e neuroscienze hanno in comune.
EMPATIA
Secondo Roberto Assagioli l'empatia è "l'immedesimazione, più o meno temporanea e di vario grado, con l'altro". È alla base del rapporto Io-Tu, cioè del rapporto più genuino e vero fra due esseri umani. E' resa possibile dall'unità essenziale della natura umana al di là di tutte le differenze, e significa che "in ognuno di noi sono presenti potenzialmente tutti gli elementi e le qualità dell'essere umano" . L'empatia può essere coltivata consciamente e in tutti i rapporti interpersonali, e anche deliberatamente evocata nella psicoterapia.
Una grande parte della psicologia e in generale delle scienze umane del secolo scorso è fondata implicitamente sull'assunto del fondamentale egoismo umano:"Homo homini lupus", secondo l'espressione di Hobbes. È un postulato di antica data, che si è rafforzato da una lettura unilaterale della lotta evolutiva. In questa visione l'essere umano è il prodotto di un'evoluzione che è una guerra cruenta in cui sopravvive solo chi riesce a prevalere sugli altri. Ogni manifestazione di altruismo, di empatia, di cura per l'altro, sono strumentali e posticci. Per Freud l'empatia è una manifetazione del super-io, che incomincia a manifestarsi verso il settimo anno d'età: l'empatia significa occuparsi anche delle esigenze altrui per un compromesso interessato di coesistenza sociale, e sorge con la formazione del super-io. Per Piaget l'empatia è anzitutto un fatto che riguarda la rappresentazione spaziale, cioè la capacità di vedere il mondo circostante dal punto di vista altrui: per esempio, io non posso vedere dietro le mie spalle, ma chi mi guarda può farlo.
Per molto tempo pochi hanno creduto nell'esistenza di motivazioni genuinamente prosociali dell'essere umano e nella propensione spontanea all'empatia. Una delle rare eccezioni è costituita da Carl Rogers, che ha eletto l'empatia a tema centrale del suo lavoro. Dagli anni ottanta questo scenario è cambiato radicalmente: gli studi sull'altruismo spontaneo dei bambini, le ricerche sul comportamento animale e soprattutto quelle sui primati, quelle sui cittadini comuni che hanno aiutato a loro rischio gli ebrei ricercati durante i tempi dell'occupazione tedesca, gli studi sui donatori di sangue e di midollo spinale, sul ruolo centrale del contatto sociale e dell'appartenenza, sull'importanza delle cure materne e dell'allattamento (già sviluppate dal lavoro pionieristico di Bowlby), e vari altri ancora, mostrano che la tendenza empatica e prosociale esiste fianco a fianco con le tendenze più egoistiche, e che ha giocato un ruolo centrale nello sviluppo dei rapporti interpersonali e quindi nell'evoluzione umana.
In questo scenario la scoperta dei neuroni specchio ad opera di Rizzolatti assume un rilievo di importanza centrale. Secondo Rizzolatti i neuroni specchio hanno la capacità di ricreare un'attività che noi percepiamo svolgersi nell'ambiente circostante. Se io vedo che qualcuno alza un braccio, i miei neuroni specchio riproducono quello stesso gesto nel mio cervello. Ciò avviene solo a condizione che io percepisca che quel gesto sia intenzionale: questo a sua volta è un punto cruciale, perché mostra che il cervello umano è equipaggiato per discriminare fra attività volontaria e involontaria – una capacità presente fin dal terzo anno di età .
Dunque l'empatia è una capacità fondamentale del sistema nervoso, non un comportamento sociale appreso né una capacità soltanto mentale. Il significato di questa scoperta è rivoluzionario perché mette al centro della natura umana la capacità di entrare in risonanza con altri esseri umani. Questa capacità sarebbe alla base delle relazioni interpersonali, della comunicazione fra persone, dell'apprendimento del linguaggio e della vita sociale; e convalida ulteriormente la possibilità che esistano nell'essere umano tendenze prosociali originarie.
Ho usato il condizionale perché su questo argomento esistono pareri discordanti. Il significato dell'esistenza di neuroni specchio deve essere valutato con prudenza, al di là di semplificazioni giornalistiche, molto diffuse in questi ultimi anni. È però interessante citare qui il parere autorevole di V. S. Ramachandran, secondo il quale l'empatia generata dai neuroni specchio è la causa principale del salto evolutivo compiuto dall'umanità negli ultimi cinquecentomila anni, e poi anche quello più recente negli ultimi 2500 anni, perché i neuroni specchio ci rendono possibile comunicare con gli altri e imparare da loro, e quindi trasmettere la conoscenza tramite l'esempio e l'imitazione. Secondo Ramachandra la comparsa dei neuroni specchio ha segnato il passaggio dall'evoluzione biologica, basata unicamente sulla trasmissione genetica, all'evoluzione culturale, che è immensamente più veloce, che è basata sull'apprendimento e la comunicazione. Ramachandra chiama i neuroni specchio "neuroni Gandhi", "perché cancellano il confine fra l'io e gli altri - non solo in senso metaforico, ma letteralmente, perché i neuroni non sanno riconoscere la differenza". Secondo Ramachandra la rilevanza dei neuroni specchio per la psicologia è paragonabile all'importanza della scoperta del DNA per la biologia .
Purtroppo bisogna anche notare come alcune scoperte fatte dalle neuroscienze, incluse quelle sull'empatia, sono state ottenute infliggendo indicibili sofferenze ad animali evoluti come i primati, e ad altri mammiferi: trapanazione del cranio, amputazione di dita, scosse elettriche, una vita di prigionia, ecc. Il paradosso qui è che queste operazioni vengono compiute in alcuni casi proprio studiando l'empatia: ricerche per dimostrare l'esistenza dell'empatia, ma condotte senza empatia alcuna. Questo pone alcuni interrogativi fondamentali sui limiti etici della ricerca, e ci mostra anche che l'empatia non è un dato universale e necessario, ma una capacità che può mancare o essere sviluppata.
Rimanendo sempre nell'ambito del rapporto interpersonale, una ricerca recente di grande interesse per chiunque lavori nei campi della psicoterapia e del counseling ha dimostrato che
- negli esseri umani, a differenza di tutti gli altri primati, è presente un forte bisogno di comunicare le proprie esperienze;
- questo svelamento di sé (self-disclosure) attiva il sistema mesolimbico della dopamina, cioè quell'area neuronale parimenti attivata dall'anticipazione o dalla recezione di una ricompensa (quale cibo, denaro, sesso, nicotina).
In altre parole, parlare di sé (anzichè parlare di qualsiasi altro soggetto) induce una sensazione di benessere . Si sa anche che chi si svela a un'altra persona avrà in seguito più probabilità di avere verso quella persona un atteggiamento positivo.
PLASTICITÀ
Fino a non molto tempo fa un dogma campeggiava nello studio scientifico del cervello: finita la maturazione dell'adolescenza il cervello rimane uguale a se stesso per tutta la vita, fino alla graduale degenerazione senile. Tutto ciò contrastava fortemente con ciò che si poteva osservare in ogni psicoterapia riuscita: che cioè è possibile un cambiamento profondo degli atteggiamenti umani, delle nostre credenze e dei nostri valori, del nostro modo di vivere; che è possibile un superamento di molti nostri limiti e patologie. Questa fondamentale differenza non ha fatto che impedire la comunicazione e la condivisione fra neuroscienze e psicoterapia. In questo contesto di campi estranei di ricerca, Roberto Assagioli fin dal 1909 parlava di inconscio plastico, vale a dire di quella regione del nostro inconscio che come una lastra fotografica (non c'era ancora la fotografia digitale) può rimanere impressionata e quindi influire sulle nostre emozioni e i nostri comportamenti. L'inconscio plastico ci dà un'indefinita capacità di apprendere, di elaborare, di creare. Assagioli formulò una serie di leggi che regolano le nostre possibilità di impressionare l'inconscio plastico e indirizzarlo secondo il nostro volere. Fra queste la legge I, la quale sostiene che immagini e idee producono condizioni fisiche ed emozioni ad esse corrispondenti; la legge VI, per cui l'attenzione concentrata su idee e immagini le alimenta e le rafforza; la legge VII , secondo cui la ripetizione di atti intensifica la tendenza a compierli . L'esistenza di un inconscio plastico accanto a quello strutturato indica concrete e straordinarie possibilità di trasformazione e di cambiamento conscio e deliberato di atteggiamenti mentali, disposizioni emotive, e comportamenti nei campi dell'educazione, dell'autoformazione e della psicoterapia. Dagli anni novanta in poi l'idea della immutabilità strutturale del cervello è stata sostituita dall'idea della sua plasticità. L'opera di Eric Kandel nel campo della memoria è all'origine di questo cambiamento epocale. Sperimentando sulla lumaca marina aplysia, dotata di neuroni particolarmente grandi, e sottoponendo questo animale a una serie di scariche elettriche, Kandel notò che il suo sistema nervoso cambiava e le connessioni sinaptiche fra neuroni motori e neuroni sensoriali si moltiplicavano. In questa maniera scoprì che c'era un rafforzamento delle connessioni fra neuroni che diventava strutturale: "Ciò che in modo particolare mi affascinava – dice Kandel – era la possibilità che la psicoterapia, che presumibilmente funziona col creare le condizioni per cui le persone imparano a cambiare, produce cambiamenti strutturali nel cervello, e che siamo ora nella posizione di valutare questi cambiamenti direttamente." I celebri studi sui tassisti di Londra (che devono memorizzare vaste quantità di informazioni stradali) paragonati ai guidatori di autobus (che invece fanno sempre lo stesso percorso) mostrano che il loro cervello ha formato aree più sviluppate come conseguenza dell'apprendimento, interiorizzazione e uso prolungato di mappe stradali. Lo stesso si è scoperto nel confronto fra la mappatura cerebrale di musicisti e non musicisti; di esperti e di inesperti nell'uso di computer; di studenti di medicina che stanno preparando un esame e altri studenti che invece non lo stanno preparando. E via dicendo. In tutti questi casi si sono evidenziate differenze nei circuiti neuronali dovute alla ripetizione di pensieri e di comportamenti. Insomma il cervello è plastico. Può essere plasmato a seconda di ciò che facciamo e di ciò che pensiamo. Le attività e i pensieri ripetuti lasciano una traccia profonda nell'organizzazione dei circuiti neuronali. Ciò che prima pareva rigidamente immutabile ora è visto come suscettibile di trasformazione volontaria. È chiaro che questi dati ci costringono a rivisitare l'idea di natura umana: a vederla non come una struttura inalterabile in cui siamo imprigionati, ma come matrice fisiologica di innumerevoli possibilità e trasformazioni. Questo orientamento coincide con il pensiero psicosintetico.
DISIDENTIFICAZIONE
Un tema centrale della psicosintesi è la disidentificazione. Secondo Assagioli il nostro io si identifica abitualmente con sensazioni corporee, emozioni, desideri e pulsioni, pensieri. Ci identifichiamo anche con i nostri ruoli. È comune anche l'identificazione con nuclei patologici: ansia e fobie, autoimmagini distruttive e limitanti, ideazioni e sentimenti depressivi, abitudini emotive infantili, impulsi incontrollabili, rituali compulsivi, ecc. È possibile imparare a distanziarsi da tutti queste realtà psichiche, e osservarle interponendo una distanza fra il nostro io e qualsiasi contenuto osservato. Assagioli insomma insegnava che è possibile attuare una diversa collocazione dell'io nell'ambito della psiche. La distanza ci aiuta a ridimensionare e depotenziare elementi che altrimenti possono controllarci. I vari contenuti psichici da interni si fanno esterni: non siamo più vissuti e controllati da loro, ma li percepiamo come forme transeunti che noi possiamo indirizzare e trasformare. Secondo Assagioli "siamo dominati da tutto ciò con cui ci identifichiamo, possiamo dominare tutto ciò da cui ci siamo disidentificati". La pratica dell'esercizio di disidentificazione guida chi la adotta a sapersi liberare da forze altrimenti destinate a controllarlo: "Io ho un corpo, ma io non sono il mio corpo, io ho delle emozioni, ma io non sono le mie emozioni…" ecc. Il punto di arrivo di questo esercizio è la realizzazione dell'io come centro di pura autocoscienza e volontà. Questo processo può offrire a chi lo usa un senso di padronanza e di libertà interiore. Tecniche e atteggiamenti di questo tipo sono presenti in varie tradizioni spirituali orientali e occidentali. Una tecnica molto simile è stata adottata da vari neuroscienziati, e le loro ricerche e sperimentazioni usano concetti e metodi che sono in sintonia con la tecnica psicosintetica. Per esempio, Daniel Siegel (School of Medicine, University of California Los Angeles) ha coniato il termine mindsight (visione mentale): la capacità di guardare le proprie emozioni e i propri pensieri, e quindi riflettere sulle proprie esperienze. Secondo Siegel la capacità del mindsight si basa su una triplice disposizione: apertura - guardare il mondo interno così com'è, non come vorremmo che fosse; osservazione - percepire i processi psichici in un contesto più ampio, e staccandosi da comportamenti automatici e reazioni abituali; e oggettività - capire che i processi psichici sono temporanei, e che non costituiscono la nostra identità. Secondo Siegel il mindsight sposta il centro di attività nel cervello dall'area limbica, che abbiamo in comune con tutti i mammiferi, e che rappresenta una parte più antica della nostra evoluzione, all'area della corteccia prefrontale, frutto del nostro sviluppo evolutivo più recente. A quest'area appartengono la comprensione del tempo, il senso di identità, l'orientamento morale, la capacità di riflettere. La parte centrale di quest'area è di particolare importanza perché comunica con tutte le altre, e quindi ha una funzione integrativa. Questo è il sito del mindsight . Anche Jeffrey Schwartz adotta il distacco psichico come strumento di guarigione. Schwartz usa una sequenza di quattro punti per guidare il soggetto che vuole padroneggiare un impulso, un pensiero o un'emozione che percepisce come non voluta e debilitante. Tutto parte dalla constatazione sperimentale del fatto che nominare uno stato emotivo con una parola ci aiuta a diminuirne il suo potere su di noi. I quattro stadi sono:
- Relabel (rinomina): diventare coscienti e definire emozioni, pensieri e impulsi che si vogliono padroneggiare.
- Riframe (ridefinisci): il soggetto è invitato a pensare di un contenuto specifico "questo non è me, è il mio cervello". Per esempio, se il paziente ha un'ondata di panico prima dice a se stesso "ansia" oppure "panico"; poi una frase come "È il cervello che mi causa questa ondata di panico, ma io non sono il mio cervello".
- Refocus (riconcentrati): si sposta l'attenzione in altre direzioni: fare esercizio fisico, oppure impegnarsi con un cruciverba, leggere un libro, scrivere il diario, ecc.
- Revalue (ri-valuta). L'ultimo stadio consiste in una nuova valutazione della situazione anche tramite un dialogo col Wise advocate, una specie di personaggio che rappresenta la parte più saggia di noi stessi e ci aiuta a vedere la nostra condizione in un contesto più allargato.
Schwarz aveva incominciato a lavorare con pazienti affetti da disturbi ossessivo-compulsivi, ma ha poi esteso il suo metodo a varie altre patologie. Il suo metodo consiste anche nel mostrare al paziente stampati del brain imaging in momenti successivi del trattamento, per mostrare loro che aree prima sovraeccitate del cervello (per esempio il nucleo caudato destro nel caso del disturbo ossessivo-compulsivo) non lo sono più in seguito al trattamento. Tanto Schwarz quanto Siegel sostengono di avere adottato l'atteggiamento di osservazione distaccata (equivalente alla disidentificazione) dalla pratica buddhista vipassana . Mario Beauregard dell'Université de Montreal ha condotto una doppia serie di esperimenti. A un gruppo di uomini (mentre erano osservati con risonanza magnetica funzionale) ha mostrato brevi filmati a contenuto sessuale esplicito alternati ad altri filmati di contenuto neutrale. Il brain imaging rivelava un normale stato di eccitazione sessuale durante i filmati erotici. In seguito Beauregard mostrava ai soggetti altri filmati ugualmente espliciti, però avendo loro domandato di osservare in maniera distaccata tanto il filmato quanto le proprie reazioni. Il brain imaging mostrava una forte diminuzione dell'eccitazione sessuale, e questo era confermato dall'esperienza soggettiva dei partecipanti. L'esperimento non aveva scopi repressivi o moralistici, ma voleva mostrare che la reazione maschile a un eccitazione sessuale è controllabile, e che quindi nei casi di violenza sessuale la scusa dell'incontrollabilità dell'impulso non è valida. A gruppi di donne Beauregard ha mostrato invece filmati commoventi e tristi. Anche in questo caso la visualizzazione delle aree cerebrali mostrava la reazione emotiva di tristezza. Poi Beauregard rifece l'esperimento, avendo prima chiesto ai soggetti di osservare con distacco tutto ciò che succedeva: il film e le proprie reazioni. Anche in questo caso lo stato emotivo era fortemente diminuito. Il brain imaging mostrava attivazione nel polo temporale anteriore, e anche nel lato destro dell'amigdala, dell'insula, e della corteccia ventrolaterale prefrontale destra. Nel secondo esperimento l'autoregolazione emotiva stimolava aree completamente diverse: la corteccia prefrontale laterale e la corteccia destra orbitofrontale, cioè aree del cervello che appartengono a una fase evolutiva posteriore. Insomma è possibile non lasciarsi dominare da sentimenti depressivi. Lo scopo di entrambi gli esperimenti era di mostrare che è possibile distanziarsi dai propri contenuti psichici, e che la distanza favorisce il controllo, e che quindi non siamo in balia di emozioni e pulsioni, ma possiamo imparare a padroneggiare la nostra psiche anziché esserne vittime.
LA COSTRUZIONE DELLA REALTÀ
L'universo in cui viviamo non è dato, ma costruito. Si potrebbe dire che tutto il secolo scorso ha visto un passaggio epistemologico fondamentale: dal realismo ingenuo alla costruzione mentale della realtà. Decine di studi in vari campi hanno mostrato come il nostro mondo non è una realtà oggettiva esterna, ma un universo soggettivo da noi generato. Il nostro corpo, la memoria della nostra vita, il nostro senso di identità e l'immagine che abbiamo di noi stessi, gli altri, la società, la realtà tutta, altro non sono che costruzioni della nostra mente. Questa soggettività è la condizione di base per la psicoterapia, la quale affronta e trasforma le mappe mentali che abbiamo di noi stessi, degli altri e della nostra situazione esistenziale. Spesso queste mappe non sono adeguate, sono incomplete, distorte, o comunque disfunzionali, e ciò danneggia fortemente tutta la nostra vita. La psicoterapia può essere vista come un tentativo di rendere più ricca, efficiente e congruente la nostra rappresentazione della realtà. La psicosintesi in particolare studia le nostre costruzioni mentali e ci aiuta a vederle come tali (uno sviluppo di per sé terapeutico) e poi a sostituirle con altre più funzionali e complete. Lo sviluppo delle neuroscienze ha ulteriormente approfondito questi temi. Tutta la nostra vita è una creazione del nostro cervello e il mondo in cui viviamo è un microcosmo creato dai nostri circuiti cerebrali. Secondo Antonio Damasio, direttore del Brain And Creativity Institute presso la University of Southern California, la caratteristica principale del cervello umano è la sua sorprendente capacità di costruire mappe. Il cervello costruisce mappe di tutto: oggetti, situazioni, brani musicali, persone, formule matematiche, luoghi, macchine e via dicendo. "Il cervello è un cartografo nato" , sostiene Damasio. Dalle mappe emergono poi vere e proprie immagini mentali. Per Damasio il cervello non è uno specchio che riflette la realtà, ma un insieme di pezzetti di Lego (il gioco di costruzioni) con cui noi di volta in volta ricostruiamo dentro di noi la realtà circostante. Di particolare interesse è la teoria del dolore che emerge da questo orientamento. Secondo Ramachandra il dolore fisico non è un dato reale e diretto, ma un'"opinione che il corpo ha sullo stato di salute dell'organismo". Insomma il dolore è un'illusione perché la sensazione stessa del corpo che noi abbiamo è un'immagine mentale e il cervello "è una macchina che produce una realtà virtuale" . Renderci conto che tutto ciò che noi chiamiamo "realtà" è una nostra costruzione soggettiva ci aiuta a capire che viviamo in un mondo da noi stessi costruito; che questo mondo non ha una sua verità oggettiva, definitiva e universale; che si può decostruire e ricostruire; che altre persone abitano in mondi diversi dal nostro.
VOLONTÀ
Per la psicosintesi la volontà è la facoltà centrale dell'essere umano, più di tutte le altre connaturata alla nostra identità. La volontà spesso non è sviluppata abbastanza, oppure è stata oppressa e mortificata nel corso dello sviluppo personale. Assagioli vede in questo una ragione cruciale di disagio e patologia. L'impossibilità di autoaffermarsi o di padroneggiare le proprie pulsioni, la sudditanza psicologica da altre persone, la dipendenza, la mancanza di iniziativa o di autodisciplina, la rassegnazione esistenziale, l'assenza di uno scopo di vita, sono tutti esempi di mancanza di volontà. Assagioli chiarisce anche che non intende la volontà come sforzo moralistico (la volontà vittoriana) e "forza di volontà", ma come centro direttivo e integrativo di tutta la personalità. La volontà libera dell'essere umano esiste e può essere sviluppata. Per la psicosintesi la ipotrofia o la soppressione della volontà individuale sono una causa centrale di patologia. Il problema dell'esistenza del libero arbitrio è soggetto da tempi immemori di un ampio dibattito. Senza una volontà libera non può esserci responsabilità morale né legalità. Ma chi ha una preparazione scientifica trova difficile e incongruente pensare a una libera volontà in un universo regolato da leggi deterministiche (perlomeno nella scienza pre-quantistica). Inoltre la volontà libera per definizione è imprevedibile: e la nozione stessa di imprevedibilità è proprio ciò che la scienza rifugge. Questo orientamento a sua volta sembrerebbe contrastare con la nostra esperienza soggettiva di potere, in alcuni casi, decidere in maniera libera. Molti esponenti delle neuroscienze hanno spesso abbracciato l'ipotesi di una inesistenza della volontà libera, che viene vista come un epifenomeno, cioè un evento mentale che esiste sì, ma non ha influenza alcuna sulla realtà. In questo modo la volontà è ridotta al rango di una illusione soggettiva: pensiamo di decidere, ma è già tutto deciso. In un famoso esperimento condotto da Benjamin Libet, si notò che prima della decisione cosciente di muovere un dito, la corrispondente area motoria del cervello è già attivata da circa mezzo secondo. In altre parole il cervello inizia l'atto, e solo in seguito l'io cosciente decide – o ha l'impressione di decidere. Quando i soggetti pensavano di decidere, il loro cervello aveva già deciso. E' un po' come se alla stazione, dopo che un treno è partito noi "decidessimo " che quel treno parta, e quando ciò avviene pensassimo di essere stati noi a farlo muovere (Questo esperimento è poi stato ripetuto negli anni seguenti con attrezzature più sofisticate e modalità più diversificate). Tuttavia Libet divenne un sostenitore della libertà del volere e nel 1993 curò la pubblicazione del libro The Volitional Brain, con saggi di vari autori. Una ragione c'è: dalle sperimentazioni di Libet infatti risultava anche che l'io cosciente aveva il potere di veto: quando viene attivata un'area motoria del cervello, l'io cosciente può inibirla . Vari studi dimostrano l'esistenza di un'attività volitiva nel cervello. Anzitutto, paradossalmente la disfunzione o assenza di questa funzione. Per esempio, nella sindrome di Foix-Chavany-Marie il paziente è incapace di sorridere volontariamente, anche se gli capita di sorridere involontariamente. Alcune lesioni del corpus callosum danno luogo a un conflitto fra le mani, per cui una mano compie un gesto e l'altra involontariamente disfa ciò che ha fatto la prima . Nel morbo di Alzheimer il decadimento della "funzione esecutiva" cioè secondo Elkhonon Goldberg il venir meno della capacità decisionale, è, prima ancora della degenerazione cognitiva, uno dei primi sintomi del morbo di Alzheimer. L'assenza patologica di capacità decisionale mostra quanto essenziale essa sia nel normale svolgimento della vita umana . Un altro studio mostra che l'atto volitivo consuma una certa quantità di glucosio nel sangue. Secondo R. Baumeister, autore di questa ricerca, la volontà non solo esiste ma può essere sviluppata "come un muscolo" . In un'altra ricerca, fatta su soggetti invitati a scegliere fra varie merci al supermercato virtuale (Coca o Pepsi?), si è scoperto che fra la presentazione della possibilità di scelta e il momento di decidere intercorrevano in media 2.5 secondi, che nei primi 80 milliscecondi si attivava la corteccia cerebrale corrispondente all'attività visiva, e entro 800 millisecondi la corteccia parietale destra, ma solo quando il soggetto faceva una scelta. I ricercatori arrivarono alla conclusione che questa è l'area decisionale nella corteccia cerebrale . Di particolare interesse sono anche i saggi di Adina Roskies sul libero arbitrio. Roskies si domanda se le ricerche neuroscientifiche mettono in dubbio l'esistenza di una libera volontà. La sua risposta è che anzitutto il termine "volontà" o "volizione" è troppo vago, e quindi deve essere declinato in cinque diversi significati: come inizio endogeno dell'azione (in contrasto con la reazione a uno stimolo, che è esogena), come intenzione, decisione, controllo esecutivo, o esperienza vissuta. Secondo Roskies nessuna scoperta delle neuroscienze mette in dubbio l'esistenza della volontà intesa in ognuno dei sensi sopra menzionati . Sono state avviate molte ricerche sulla possibilità di influenzare il cervello nelle scelte di carattere commerciale – il cosidetto neuromarketing. In questo metodo, la cui impostazione etica è tutta da vedere, si studia tramite brain imaging la reazione cerebrale a vari loghi e altri stimoli visivi. Quelli che evocano nel cervello i siti collegati alla formazione dell'identità sono i più promettenti da un punto di vista commerciale, perché evocano l'identificazione con il logo e lo stile di vita che esso simboleggia (ad esempio, Apple, MacDonald, ecc.), e quindi il fenomeno della lealtà al marchio. La reazione cerebrale non è in relazione al prodotto o al servizio offerto dal logo, ma solo dal logo in sé e dai contenuti emotivi che esso rappresenta.Questo è un esempio di appropriazione commerciale della volontà, e dimostra che la libera scelta esiste, ma può essere fortemente influenzata.
VISUALIZZAZIONE
Nella psicosintesi la visualizzazione è una tecnica centrale, usata in molte maniere. Una delle più efficaci è la tecnica del modello ideale, in cui si è invitati a visualizzare la persona che vogliamo diventare. Il modello ideale esprime il progetto che un essere umano può costruire del proprio futuro. Spesso questo progetto è inconscio, inesistente, involontario, distorto, o al suo posto ci sono solo false immagini di sé. Tutto ciò crea malessere e disorientamento. Sovente la facoltà di progettare se stessi è menomata da traumi e deve essere reinstaurata. La capacità di poter concepire e visualizzare il proprio futuro è tonificante e aiuta a dare ordine e armonia alla psiche umana. La visualizzazione di immagini simboliche può essere pure di aiuto e di guida, e può produrre effetti terapeutici di grande rilievo. L'efficacia deriva anche dal fatto che i simboli sono il linguaggio dell'inconscio. In generale il mondo immaginario (simbolico e non) può essere un ottimo laboratorio in cui sperimentare e coltivare nuovi atteggiamenti e comportamenti. La rappresentazione mentale cenestetica di movimenti è stata ampiamente studiata dalle neuroscienze ed è usata spesso nella riabilitazione neurologica, perché la simulazione immaginativa di un movimento stimola la corrispondente area motoria del cervello. La visualizzazione di atti complessi è molto utile nella rieducazione di pazienti cerebrolesi. Nel caso di ictus si è scoperto che la visualizzazione di un movimento di un arto paralizzato, pur non potendo offrire una restitutio ad integrum, porta il flusso sanguigno alle zone cerebrali immediatamente circostanti alle aree colpite, e quindi limita i danni del problema . Inoltre la visualizzazione di immagini attiva processi molto simili alla percezione, come si è scoperto mostrando a vari soggetti disegni di oggetti comuni, e poi chiedendo loro di visualizzare quelle stesse immagini . Infine il soggetto di una visualizzazione (per esempio un volto umano o un paesaggio) determina quale area del cervello viene attivata . Il linguaggio stesso può attivare la visualizzazione, oppure no. Gli interessanti studi di A. Just hanno dimostrato che frasi a contenuto visivo, come "Il numero 8 quando è ruotato di novanta gradi diventa simile a un paio di occhiali" e frasi a minore impatto visivo, come "Malgrado la maratona sia oggi uno sport, incominciò ai tempi dell'antica Grecia quando i messaggeri portavano le notizie" hanno effetti assai differenti sul cervello. La frase con contenuto visivo preponderante stimola aree cerebrali molto diverse da quelle che richiedono un minore uso della visualizzazione. Questo è un fatto rilevante per chiunque si interessi di educazione e apprendimento . La visualizzazione è stata usata spesso per migliorare una prestazione sportiva. L'atleta immagina vividamente e in dettaglio l'azione da compiere al meglio – per esempio gettare la palla nel cesto nel caso della pallacanestro, e la visualizzazione equivale a uno vero e proprio allenamento. Condizione essenziale è che l'atleta abbia già familiarità con la prestazione, e che la visualizzazione avvenga in prima persona e con una prospettiva interna. In un interessante studio di C.-J. Olsson e altri si sono studiati con fMRI atleti attivi nel salto in alto, paragonandoli a un gruppo di soggetti senza esperienza in questa specialità sportiva. Alla richiesta di visualizzare il processo del salto, gli esperti attivavano le zone cerebrali motorie, gli inesperti invece soltanto quelle corrispondenti alla attività visiva.
LETTURA E SCRITTURA
La biblioterapia è una tecnica della psicosintesi, che crede nella capacità dei libri di evocare emozioni, trasmettere idee, sviluppare la riflessione, facilitare la crescita e l'equilibrio personale, mostrare nuove maniere di entrare in rapporto con gli altri e concepire il mondo, stimolare all'azione. La lettura può dare un arricchimento di enorme portata, come sa chiunque abbia visto la sua vita cambiare in seguito alla lettura di un libro. La biblioterapia è una tecnica psicoterapica non facile, perché richiede anzitutto una conoscenza approfondita di una notevole numero di libri; e soprattutto l'intuito necessario per scegliere il libro giusto per la situazione esistenziale e anche il gusto personale del paziente. Assagioli consigliava un "armadietto biblioterapico" paragonabile a quello in cui si tengono i medicinali, per avere a disposizione libri da offrire nel corso della terapia. (Naturalmente si potrebbe estendere questa possibilità ai DVD, ancora inesistenti ai tempi di Assagioli). In questi ultimi anni la biblioterapia e attività correlate si sono molto sviluppate. La biblioterapia è un ottimo aiuto per contrastare la depressione. Si è scoperto anche che la lettura nei casi di dolore cronico può essere più utile di agopuntura, analgesici, fisioterapia, o camera iperbarica. I gruppi di lettura in cui vari lettori si scambiano esperienze su libri letti e ne leggono ad alta voce dei passi, offrono possibilità di aggregazione sociale. Nel passaggio così rapido dall'era del libro a quella digitale, la lettura cartacea è un invito alla riflessione e alla lentezza. La lettura al computer, anche quella di libri digitali, è più spezzettata e molteplice, meno approfondita di quella su libri cartacei. In campo neurologico c'è molta attenzione alla lettura: un 'attività innaturale e assai complessa, e quindi (soprattutto per i paesi di lingua anglosassone) di non facile acquisizione. Uno studio della Carnegie Mellon ha scoperto che in seguito a un programma di lettura di sei mesi per persone con difficoltà di lettura, l'area cerebrale del linguaggio era cresciuta . Interessante anche lo studio della Mayo Clinic, che dimostra come la lettura può offrire un aumento delle "riserve cognitive", cioè costituire una prevenzione dell'handicap cognitivo leggero (Mild Cognitive Impairment, MCI), che spesso precede il morbo di Alzheimer . Sorprendentemente, la lettura potrebbe aiutare anche a prevenire danni cerebrali: in una ricerca studio su 112 operai di una fonderia che avevano sofferto di avvelenamento di piombo, tutti avevano avuto danni all'apparato motore, ma quelli di loro che non avevano abitudine di lettura i non lettori avevano sofferto di danni cerebrali molto maggiori . Da questa constatazione i ricercatori avevano concluso che la lettura può offrire un certo grado di protezione al cervello e un aumento di riserve cognitive. Per ora glil studi neuroscientifici sulla lettura mostrano benefici di funzione, mentre la biblioterapia si occupa maggiormente, anche se non solo, di benefici legati al contenuto. La scrittura è stata usata nella psicosintesi con intenti terapeutici: l'autobiografia, il diario, e ogni altra forma di scrittura sono utili per varie ragioni: anzitutto sono un'espressione di contenuti psichici che sarebbero altrimenti repressi e potrebbero causare disturbi psicosomatici. Ricordiamo la nona legge psicologica: "Gli istinti, gli impulsi, i desideri e le emozioni tendono a esprimersi ed esigono espressione [il corsivo è mio]." Inoltre la scrittura può aiutare come metodo di esplorazione dell'inconscio e un invito alla riflessione. Di recente varie ricerche hanno comprovato l'efficacia terapeutica della scrittura . Alcuni studi di neuroscienze dimostrano che scrivere delle proprie emozioni può aiutare l'equilibrio psichico e il buon funzionamento cerebrale. In alcuni soggetti monitorati con visualizzazione delle attività cerebrali si è scoperta una minore attività dell'amigdala, che significa una diminuzione dell'attività emotiva, e la stimolazione di altre region cerebrali volte alla regolazione delle emozioni. Secondo Matthew Lieberman della University of California Los Angeles, l'atto di nominare le emozioni e metterle su carta aiuta a padroneggiarle.
ESPERIENZE TRANSPERSONALI
Secondo Assagioli la nostra identità vera è il Sé spirituale o transpersonale. Il Sé si manifesta attraverso il supercosciente, che è la sorgente di stati di illuminazione, esperienze estetiche, creatività, slanci altruistici, estasi, intuizioni, ecc. Di particolare importanza è la comprensione del significato della propria vita e dell'universo, perché costituisce una guida e una guida interiore di importanza fondamentale, senza la quale c'è alienazione e disperazione. Le esperienze spirituali o transpersonali erano state chiamate esperienze "religiose" (nel senso non confessionale e più vasto della parola) da William James, "oceaniche" da Sigmund Freud (che però le aveva interpretate come regressive), del "numinoso" da R. Otto e da C.G. Jung, peak experiences ("esperienze delle vette") da A.H. Maslow, "transpersonali" da Stan Grof, e, con un significato forse più ristretto, flow da M. Csikszentmihalyi. Per Assagioli questi eventi interiori, lungi dall'essere episodi casuali e secondari, assumono una profonda rilevanza, perché costituiscono pietre miliari nel cammino umano e fonti di rivelazione, speranza e interazione positiva con gli altri, per ognuno di noi. Secondo Assagioli l'esperienza transpersonale è un legittimo campo di indagine scientifica, indipendente da qualsiasi credo religioso. Esistono vere e proprie "vie" di autorealizzazione, come la via della meditazione o dell'azione, della danza o della preghiera, della bellezza o della scienza. Inoltre la dimensione transpersonale, quando non è elaborata e assimilata in modo equilibrato e cosciente, può essere causa di patologie. Le esperienze transpersonali sono state oggetto di ricerca anche nel campo delle neuroscienze. Di particolare interesse sono le indagini svolte da Mario Beauregard sull'attività cerebrale durante la contemplazione e la unio mistica. Beauregard ha chiesto a un gruppo di quindici suore carmelitane di clausura di ricordarsi e cercare di ricreare le esperienze spirituali più intense della loro vita. In un momento successivo ha anche chiesto loro di entrare, per quanto possibile, in uno stato contemplativo durante fmri. Le caratteristiche salienti di queste esperienze furono (secondo la Hood Mysticism Scale):
"So di aver avuto un'esperienza del sacro" "Ho avuto un'esperienza in cui mi pareva di essere assorbita in qualcosa più grande di me" "Ho sentito una gioia profonda".
Tutti questi stati avevano un preciso riscontro nella visualizzazione dell'attività cerebrale. Da notare anche la differenza fra l'esperienza contemplativa vera e propria e la ri-creazione con il ricordo di un'esperienza contemplativa precedente . A volte le tradizioni spirituali che parlano degli stati di espansione di coscienza mettono in guardia dai pericoli della mente razionale, e offrono tecniche per sospenderne l'attività. Infatti la mente razionale e discorsiva può filtrare distorcere o schermare la dimensione transpersonale. Questo stesso fatto sembra essere indicato anche da alcune ricerche, soprattutto quelle sullo stato di flow. Secondo M. Csikszentmihalyi, "I nostri momenti migliori avvengono di solito quando il corpo o la mente di un individuo è portato ai suoi limiti in uno sforzo volontario di realizzare qualcosa di difficile e significativo. L'esperienza ottimale è quindi qualcosa che noi stessi facciamo accadere" . Di recente, studiando i correlati cerebrali dello stato di flow si è scoperto che durante questo stato l'attività corticale (nell'area media prefrontale) diminuisce . Anche le sezioni seguenti riguardano la dimensione transpersonale.
MEDITAZIONE
La meditazione vista come attività interiore finalizzata è un altro asse portante della psicosintesi. Spesso il bisogno di una vita interiorizzata, di silenzio, riflessione, solitudine, spazio interiore, viene calpestato o ignorato o visto con sospetto nella nostra società più portata all'estroversione. Quando ciò succede emergono inevitabilmente dei problemi, perché viene inibita la possibilità per molti individui, soprattutto i più introversi, di compensare una vita dispersa e caotica con la creazione di uno spazio interiore in cui ritrovare se stessi, rigenerarsi e ricaricarsi. La psicosintesi riconosce questo bisogno di interiorità e offre vari tipi di meditazione, oltre a promuovere meditazioni delle varie tradizioni spirituali, come il Buddhismo o il Vedanta. In questi ultimi anni c'è stato un vivo interesse riguardante la meditazione anche in campo medico, psicoterapeutico e delle neuroscienze. Secondo Andrew Newberg, autore di varie ricerche sull'argomento, il cervello è attrezzato per aiutarci a sopravvivere la nostra sopravvivenza. Le esperienze spirituali ci mostrano che c'è un fine nella nostra vita, un significato nell'universo, cioè rendono un luogo inospitale e spaventevole più benigno e ci facilitano nel funzionare in questo mondo. Per questo le esperienze di carattere spirituale hanno una funzione adattiva . Spesso però la meditazione è stata affrontata in maniera superficiale , solo in alcuni suoi aspetti meccanici, come una tecnica di rilassamento, staccata dalle sue radici spirituali, dimenticando tutto il suo significato profondo. Pur con queste riserve, c'è stata una fioritura di lavori di grande interesse. Per esempio in uno studio condotto dal Medical College della Georgia alcuni adolescenti che avevano imparato una semplice meditazione (rilassamento, respirazione profonda, ripetizione di un suono) mostravano una diminuzione di assenteismo a scuola e una condotta migliore. Uno studio longitudinale condotto nelle scuole ha mostrato che gli studenti che praticavano la meditazione mostravano meno segni di ansia da esami , e migliori capacità di concentrazione . In un'altra ricerca, del 2011,condotta nell'ambito del Massachussets General Hospital Psychiatric Neuroimaging Research Program, un gruppo di soggetti ha seguito un programma di meditazione vipassana che durava otto settimane (un gruppo di controllo non praticava alcuna forma di meditazione). Alla fine i soggetti, che avevano meditato in media 27 minuti al giorno, mostravano benefici psicologici e cognitivi, e, a livello cerebrale, un'aumentata densità della materia grigia nell'ippocampo e nelle aree cerebrali corrispondenti alla consapevolezza e alla compassione, oltre che una minore densità nell'amigdala . Mentre già varie ricerche hanno mostrato che il cervello di chi medita è organizzato in maniera diversa, Questo è considerato il primo studio che mostra in fieri un cambiamento della struttura cerebrale causato dalla meditazione .
BELLEZZA
Un'altra esperienza transpersonale è quella del bello. Per Assagioli e pochi altri nel panorama della psicologia e della psicoterapia contemporanea la bellezza è un fattore di importanza centrale nell'esperienza umana dal punto di vista educativo, formativo e terapeutico. Per lui la contemplazione estetica è liberatrice: "Il senso del bello illumina, feconda e vivifica la vita umana". Nella mia ricerca sulle esperienze del bello e sull'intelligenza estetica ho avuto piena conferma di questo fenomeno. Una notevole quantità di studi recenti ha mostrato che alcune attività artistiche, oppure il contatto con la natura, migliorano la prestazione accademica, hanno un effetto calmante e rigenerativo, funzionano da prevenzione di alcuni problemi infantili, stimolano atteggiamenti prosociali, diminuiscono l'aggressività, e perfino aumentano l'IQ. Anche nel campo delle neuroscienze la presenza dell'esperienza estetica è stata chiaramente riconosciuta come un fatto cerebrale osservabile. Semir Zeki ha coniato il termine "neuroestetica". In uno studio condotto su un piccolo numero di studenti universitari, ha invitato i soggetti a guardare un certo numero di immagini, e distribuirle in tre categorie: belle, brutte e neutre. Gli studenti hanno poi guardato quelle immagini mentre erano sottoposti a fMRI. Il brain imaging mostrava una reazione diversa nei confronti delle immagini belle e quelle considerate brutte . V.S. Ramachandra parla di una teoria neurologica dell'esperienza estetica formulando otto leggi che la regolano . In un elegante esperimento condotto da Cinzia Di Dio, Emiliano Macaluso e Giacomo Rizzolatti, e pubblicato col titolo "The Golden Beauty", ai soggetti sotto esame di fmri sono stati mostrati via via quindici immagini di sculture di corpi maschili e femminili che rispettavano il canone classico della proporzione aurea (1:1.68), e poi quelle stesse immagini, che però erano state leggermente accorciate o allungate (1:0.74 e 1:036) in modo da non rappresentare più il canone aureo. I soggetti dovevano prima osservare, poi dare un giudizio estetico, poi uno riguardante le proporzioni della figura. All'fMRI risultavano attività cerebrali diverse davanti all'immagine canonica rispetto all'immagine deformata. Gli autori concludono sostenendo che esiste una risposta specifica del cervello alla bellezza (per lo meno la bellezza visuale delle proporzioni pittoriche), che si può localizzare nell'attività congiunta dell'insula e delle aree della corteccia prefrontale 45 e 46 (valutazione oggettiva della bellezza) e dell'amigdala (risposta soggettiva) . Anche Eric Kandel si è interessato ai correlati cerebrali dell'esperienza estetica, e ha di recente pubblicato un libro che esamina in dettaglio il significato biologico dell'esperienza estetica anche in rapporto alla psicoanalisi e alla psicologia della percezione. Secondo Kandel l'arte ha una funzione adattiva perchè è un modo di aiutarci a capire la mente degli altri e condividere con loro le nostre esperienze .
GIOCO, SORRISO, HUMOR
Assagioli fin dall'inizio dello scorso secolo mise in luce l'importanza rigeneratrice del riso, del sorriso, della giocosità e del buonumore: tutti atteggiamenti che migliorano la salute fisica e psichica di chi li vive ed esprime. In un tempo in cui il soggetto principale della psicologia era la patologia, e quindi ansia, angoscia, depressione, depersonalizzazione, ecc. , Assagioli, pur partendo da una formazione psicoanalitica, si interessava anche al riso e al sorriso, considerandoli elementi di importanza fondamentale: "Tre cose soprattutto l'uomo moderno deve apprendere per divenire sano e completo: L'arte del riposo. L'arte della contemplazione. L'arte del riso e del sorriso. … [Il riso] costituisce un allentamento della tensione psichica che dà grande sollievo, produce un benefico rilassamento interno, sostituendo all'attività di facoltà affaticate quella di altre fresche, poco – troppo poco – usate."
Da notare che per gioco non si intende alcun particolare tipo di gioco come gli scacchi o il calcio, ma l'atteggiamento di gioco. Il gioco rappresenta uno stato di benessere e di attività che non ha uno scopo ulteriore ma è fine a se stesso: qualsiasi attività quindi può diventare gioco, dalle passeggiate in montagna alla attività artistica espressiva, dalla lettura al cinema, dai viaggi alla raccolta di francobolli, perfino il lavoro. Per Assagioli:
- la capacità di ridere di se stessi risulta in una maggiore disidentificazione, e quindi libera da tutto ciò che ci può intristire appesantire o angosciare;
- la giocosità, la gioia, lo humour filosofico sono vere e proprie qualità transpersonali;
- questi stati di appagamento e felicità facilitano e potenziano la salute psicofisica. Il senso di humour dà leggerezza e capacità di vedere connessioni altrimenti invisibili, quindi è creativo. La gioia è forse la qualità originaria dell'essere;
- la repressione di questi stati può produrre patologia.
I benefici effetti del gioco, così come sono stati documentati dalla ricerca, sono l'aumento di intelligenza, la possibilità di imparare a conoscere il mondo e sperimentare varie modalità di comportamento, e lo sviluppo della capacità di adattarsi a un mondo al cambiamento . L'importanza del gioco per il cervello è stata ampiamente provata. Fin dagli studi pionieristici di Marian Diamond si è scoperto che i ratti allevati in ambienti ricchi e stimolanti e con molte possibilità di gioco sviluppano una massa cerebrale maggiore e sono molto più intelligenti di ratti tenuti in un ambiente povero e poco stimolante . Il gioco favorisce la crescita del fattore neurotrofico (BDNF), una sostanza che favorisce la crescita e il mantenimento delle cellule cerebrali . Alcuni studi mostrano anche che giochi di vario tipo, inclusi i puzzle enigmistici, aumentano la resistenza ai disturbi neurodegenerativi. John Byers ha svolto un'analisi dettagliata del gioco negli animali e relativo grado di sviluppo cerebrale. La quantità di gioco svolto è correlata allo sviluppo della corteccia frontale . In un altro studio i soggetti guardavano un film comico di loro scelta. In una stanza vicina altri soggetti di controllo aspettavano senza alcuna stimolazione. A tutti venivano prelevati campioni di sangue per analisi ogni dieci minuti. In quelli che avevano visto il film comico il sistema immunitario varie funzioni immunitarie risultavano potenziati, ed era diminuito il livello di cortisolo (che invece aumenta coll'insorgere di stress); mentre i dati fisiologici degli altri soggetti, che non avevano guardato il video, erano rimasti immutati. E' davvero il caso di dire che il riso fa buon sangue. Il sorriso è un potente stimolatore dei circuiti neurali che facilitano l'interazione sociale e l'empatia .
Dal punto di vista di uno psicoterapeuta le nuove frontiere delle neuroscienze portano ad avere un panorama più inclusivo e completo. D'improvviso fatti psichici e operazioni mentali con cui abbiamo da lungo tempo familiarità in noi stessi e nei nostri pazienti, assumono una dimensione fisica più nitida e dettagliata. A questo punto però è lecito un dubbio: serve davvero sapere quali aree cerebrali vengono attivate in corrispondenza a un evento psichico? Io penso di sì. C'è un evento psichico: un'emozione, una capacità di distanziarsi dalla proprio esperienza soggettiva, la percezione del bello, un atto di volontà, un ricordo, un'operazione mentale. E c'è una rappresentazione grafica precisa di questo evento. È come se gli eventi soggettivi ricevessero un nuovo status ontologico: una conferma che non sono solo processi vaghi e indefinibili, ma eventi concreti e forme su una mappa. L'anima finalmente incomincia a incarnarsi.