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Antiche forze e nuove fragilità

In fondo ha un suo senso che Andrea Bocconi ed io ci siamo incontrati tirando di scherma durante il nostro servizio militare, e che poi siamo diventati tutti e due psicoterapeuti. La scherma e la psicoterapia hanno in comune parecchi punti, e la prima può servire come metafora per capire alcuni aspetti della seconda.

Nella scherma studio il mio avversario: cerco di capire i suoi automatismi, le sue abitudini. Perché se già prevedo le sue mosse, ne posso approfittare. Così è anche nella psicoterapia (e nel counseling, e nell'autoformazione): dove studiamo i complessi e le abitudini mentali che il paziente si porta dietro, perché sono ciò che lo rende debole e gli impedisce di essere spontaneo e autentico.

In tutte e due le arti è basilare la consapevolezza: devi essere attento, presente al 100 %. Talvolta l'attenzione si fa sottile e pervasiva, ti pare di sentire la totalità dell'altro, ogni suo respiro più flebile, ogni suo più piccolo pensiero o intenzione. Un attimo di disattenzione, e hai perso il filo, oppure la partita.

E anche: nella scherma talvolta si indietreggia, per lasciare che l'avversario venendo avanti e attaccando mostri i suoi punti deboli: e poi si gioca di rimessa. Nella psicoterapia si incoraggia il paziente a esprimersi, in modo che si scopra, che vengano fuori le sue parti più segrete e sconosciute. Poi è più facile intervenire. Altre volte andiamo noi all'attacco: nella scherma avanziamo, mettiamo l'avversario alle strette; nella psicoterapia, a volte, provochiamo, insistiamo, magari prendiamo un po' in giro (senza ferire). E' una tecnica da usare molto più raramente, ma può far parte della nostra strategia, se usata con saggezza.

Naturalmente nella scherma e nella psicoterapia il fine ultimo è molto diverso: nella prima è la vittoria sull'avversario, nell'altra è la salute e il benessere del paziente. Nella scherma si è contendenti, nella psicoterapia si diventa alleati. Però potremmo dire che anche nella psicoterapia c'è qualcuno da sconfiggere: le cattive abitudini mentali, le forze della nevrosi e della stagnazione, insomma tutto ciò che fa soffrire il paziente e si oppone alla sua crescita. Anche qui c'è un avversario da ingannare e da battere.

Continuiamo con i parallelismi. Nella scherma bisogna inventare la mossa che l'altro non si aspetta, bisogna prenderlo di sorpresa. Anche nella psicoterapia succede qualcosa di simile. Dio ci guardi dalle psicoterapie dove si ripete sempre la stessa seduta, dove sono dette e ridette le stesse parole. Tocca al terapeuta dire una parola, fare una domanda, proporre una tecnica per far sì che il paziente perda il suo equilibrio; non perché lo vogliamo mettere in difficoltà, ma perché vogliamo aiutarlo a scoprire in se stesso nuove possibilità, nuovi modi di fare e di pensare. E quindi dobbiamo talora spiazzarlo.

Negli anni dopo il servizio militare Andrea Bocconi si è dedicato anche a un'altra sua passione: la scrittura. Questa raccolta include saggi e interventi vari su un'ampia gamma di argomenti: dalla creatività alla trance, dai sogni agli psichedelici, dagli sciamani all'educazione dei giovani alla psicoterapia, tanto per nominarne qualcuno. In tutti un elemento comune ha guidato l'autore: il tentativo, ripetuto in tanti modi diversi, di decifrare il mistero della nostra esistenza. Un tentativo ripetuto, garbato ma insistente, di capirci di più, e di farlo con tutti i mezzi a disposizione, senza mai desistere o scoraggiarsi.

Nel leggere alcuni di questi scritti ho ripensato al periodo in cui Andrea ed io ci siamo incontrati, l'inizio degli anni settanta. Senza alcun dubbio mi sento di dire che per noi, e per molti altri, non sono stati anni di piombo, ma anzi anni di leggerezza e di scoperta. E' stata l'epoca in cui abbiamo incominciato a capire che si poteva essere differenti, che si poteva mettere tutto in questione; che il mondo è soggettivo, e quei mattoni così solidi che lo costituiscono sono in realtà costruzioni della nostra mente; che si possono esplorare altre culture, altri modi di capire la vita, e imparare moltissimo; che la coscienza ordinaria può espandersi fino a includere stati e modi d'essere fino a quel momento inimmaginabili.

In tutti i rivolgimenti di quegli anni scoprimmo Roberto Assagioli, questo esile vecchio sorridente e saggio, che aveva passato la sua vita a indagare su quei temi che allora molti baldanzosamente affrontavano. Assagioli sembrava fatto apposta: era come se fosse stato lì ad aspettarci, ad accoglierci, come se avesse saputo già da molto tempo che un giorno saremmo arrivati – tutti noi che allora eravamo giovani, e fra loro Andrea ed io.

Così la scherma ci fece incontrare. E se vi domandate chi era il migliore fra noi due, non ci sono dubbi: io surclassavo Andrea alla grande, non c'erano paragoni.

Beh, no. Era senz'altro meglio lui, lo devo ammettere. Infatti ha poi ha continuato con molta passione, tanto che di recente è diventato campione non mi ricordo più se italiano o del mondo (nella sua categoria di età, che non è più quella del servizio militare). Facevamo due armi diverse, lui la sciabola, io il fioretto. Una volta però prese il fioretto lui e tirammo assieme, e in men che non si dica mi batté anche nel fioretto.

Però bisogna dire che io non mi ero tanto impegnato.

Piero Ferrucci
Fiesole, aprile 2011